La danse du destin

Sarajevo, 12 ans après
ritratti

la bambina che giocava nella carcassa di un’auto

Il posto dove avevo scattato la foto della bambina che giocava nella carcassa di un’automobile in mezzo a un parcheggio dietro l’Holiday Inn era irriconoscibile: i palazzi in rovina erano stati demoliti e al loro posto ve ne erano di nuovi. Tutta la zona era cambiata. L’indomani mi chiamò la madre della bambina. Quando arrivai all’appuntamento non credetti ai miei occhi.

“Sono Hana. Dapo. Mi stupisce davvero che tu sia riuscito a ritrovarmi con questa foto che ha visto la mia maestra. Non ricordo bene quei momenti ma durante il cessate il fuoco mi divertivo, di nascosto dai miei genitori, giocando con le carcasse delle auto. Ho appena finito gli studi all’Istituto

di Management commerciale, una grande scuola di commercio. Ora voglio specializzarmi in marketing, vorrei diventare un dirigente importante in qualche azienda di marketing. Mi impegno con tutte le mie forze per finire di studiare, diventare la migliore in questo campo, e lavorare in una grande impresa. Ma la carriera non è tutto nella vita : la mattina voglio svegliarmi circondata dalle persone che amo, avere una famiglia, e amici , e aiutarli a concretizzare sogni e ambizioni.”

preoccupazione per il futuro dei giovani

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Durante la guerra il marmista Topcagic non ha mai smesso di scolpire tombe. Si è diplomato alla Accademia di Belle Arti, ma la richiesta di pietre tombali era di gran lunga superiore a quella per le sue creazioni artistiche. Oggi continua a lavorare nel suo laboratorio sommerso dalla polvere: ha i capelli bianchi, sarà per la polvere di marmo, per l’età o forse per le preoccupazioni… Comunque a quanto pare gli affari vanno bene e mentre lui invecchia un giovane apprendista impara il mestiere e presto prenderà il suo posto. Mi parla delle sue inquietudini per i giovani. Sarajevo va bene per chi ha un lavoro, ma per gli altri?
“C’è un certo clima, un’atmosfera come di transizione ma non riusciamo a capirlo, questo cambiamento. E’ un problema. ..Anzi, molti problemi …

La Ballerina…

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Dodici anni prima, una ragazza si esercitava alla sbarra ogni giorno, fino quando non chiusero la scuola di balletto perché era troppo pericoloso ballare con i cecchini appostati. Esposte al fuoco, le finestre della sala prove erano crivellate di pallottole e proiettili di mortaio. Mentre i giovani ballerini erano al fronte, questa
ballerina non aveva smesso di lavorare in solitudine sul Lago dei cigni … In questa danza del destino, anche lei era scomparsa senza lasciare traccia.

Tijana la musicista

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Ho trovato Tijana quasi per caso. Ero all’Accademia di Musica in cerca dei giovani musicisti che avevo fotografato durante l’assedio. Purtroppo alcuni di loro non avevano continuato la carriera musicale. Poi una ragazza si è riconosciuta in una foto scattata al Coro del centro culturale “Club Bosnia”. Era Tijana, che all’epoca cantava canzoni popolari tradizionali nella corale. E non è tutto,
perché si è impegnata a fondo nella musica : accompagna al piano i corsi di danza classica, canta e suona in concerti rock, ed è interessata a tutto ciò che riguarda la cultura in generale.
“Mi chiamo Tijana Viknimic…

Gli snipers del cimitero

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Nella primavera del 1994 passai vicino al cimitero sulla collina dove, in mezzo a vecchie tombe musulmane alcuni bambini giocavano “alla guerra” . Imitavano i cecchini che, dall’alto delle colline, miravano ai loro obiettivi. Fra tutte, ho scelto la foto che ritraeva insieme Jasmin e Dzenan ma, con mia grande sorpresa, scoprii che non si conoscevano affatto e che avevano giocato insieme solo per qualche giorno al tempo in cui le loro famiglie si erano spostate in quel quartiere. Sono tornato in quel luogo, che è molto cambiato da allora. Hanno intavolato una conversazione cercando di evocare i ricordi di quel tempo.
Dzenan: “ Mio Dio, era così tanto tempo fa…

Dietro il parabrezza

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Al tempo della guerra Aldin e Amel non si conoscevano. Le loro famiglie erano state trasferite nel quartiere dove avevo scattate le foto. Qualche volta avevano giocato insieme in mezzo a carcasse di automobili in un parcheggio, con gli altri bambini. Poi erano tornati nelle zone di origine. Prima che il quotidiano Dnevni decidesse di sostenere la mia ricerca pubblicando la foto del ’94 era stato impossibile ritrovare quell’angolo. E’ così che la madre di Aldin ha riconosciuto suo figlio e il suo piccolo compagno di giochi. Allora tutto era accaduto troppo velocemente e forse solo oggi si incontrano di nuovo. Si parlano dopo 12 anni:

Aldin: “Cosa fai?”
Amel: “Sto terminando gli studi. Studi di tecnica delle ferrovie. E tu?”

Il gioco del Tram

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Anisa e Almedina. Durante il “cessate il fuoco” i bambini giocavano al “trenino” sulla piazza davanti alla Biblioteca Nazionale. Il vero tramway non circolava più dall’inizio dell’assedio. Grazie alle mie ricerche scoprii che questi bambini provenivano da altri quartieri, erano sfollati.
Visitando le scuole, i collegi, le università, ho potuto rintracciare Anisa che studiava medicina e Almedina, studente di agraria. Ho organizzato un incontro proprio là dove 12 anni prima avevano giocato insieme. Ma all’appuntamento ho trovato anche qualche sorpresa, delle storie sorprendenti.
Alla fine Anisa e Almedina si incontrarono dopo tanti anni e s’immersero nei ricordi e nei racconti.
Anisa: “Questo matto di fotografo è passato dalla scuola media, dal liceo, è risalito fino alla facoltà di medicina dove studio, per ritrovarmi. Ha fatto tre volte il giro della città!”
Almedina: “In fondo, non tanto matto! E dopotutto, eccoci di nuovo insieme. Chi l’avrebbe mai immaginato?”…

I Gemelli

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I gemelli Nadir e Fakuk erano felici quando, nel 1994, andavano a raccogliere i pacchi di aiuti umanitari con la nonna. Allora, per loro era quasi un gioco attendere in fila indiana per prendere un po’ di zucchero o di farina. Una delle rare occasioni per uscire di casa. Ho vagato una settimana intera intorno alle colline di Bistrik prima di ritrovare questi due ragazzi. Sono molto cambiati, e anche le loro vite. Aisha, la nonna, non c’è più: è sopravvissuta alle bombe, ma non alla vecchiaia. I ragazzi sono ancora inseparabili ma si vestono in modo rigorosamente diverso…
Faruk: “Mi chiamo Faruk Telalovic. Studio fisioterapia alla facoltà di medicina Mi ricordo della nonna Aisha. Si occupava di noi, del mio fratello gemello Nadir e di me. Ci portava con sé a prendere i pacchi di aiuti umanitari fra un bombardamento e l’altro. Mi ricordo ancora del fragore
delle bombe.“

Namik e la sua pecora

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Namik non va più a zonzo con la sua pecora. Per mancanza di mezzi, Namik vive ancora oggi con i genitori e lavora come autista di taxi. Gli piacerebbe cambiare lavoro. Malgrado la precarietà non si abbatte, conserva un briciolo di humour e la speranza di cambiare lavoro prima o poi.
“Ho finito di studiare e poi ho trovato un lavoro come autista di taxi. Hai notato che ti hanno indicato dove abito ma che è stato difficile trovarmi in casa! Lavoro 12 ore al giorno e in un mese posso prendere solo 2 giorni di riposo. Oggi è uno di quei giorni. Hai avuto fortuna a trovarmi. Comunque non posso lamentarmi troppo. Conosco tanti giovani che non riescono a trovare lavoro. Siamo in una situazione di transizione e dovremo aspettare ancora qualche anno per vedere miglioramenti evidenti nella vita di tutti. La gente preferisce andare a piedi o usare il tram o il bus piuttosto che prendere il taxi, perché non ha soldi … Spero che la società per la quale lavoro non chiuda, perché la concorrenza è forte. Sento che ci sarà un futuro qui, nella mia città. Per questo non ho mai pensato di emigrare all’estero. Sogno l’Italia, la Francia, la Grecia, ma solo per passarci una o due settimane di vacanza. E’ solo una questione di tempo, poi le cose andranno meglio. I giovani hanno bisogno di una vita migliore. In fondo, possiamo sorridere dopo tutto quello che abbiamo passato”.

Sevala “la pietra„ di Bascarsija durante l’assedio

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All’inizio delle mie ricerche, tutti si soffermavano sulla foto di questa donna che durante la guerra, in abito tradizionale, ogni giorno vendeva giornali davanti alla Grande Moschea. Mi avevano assicurato che era facile incontrarla soprattutto la mattina nella zona pedonale. Ma dopo tre settimane di ricerche avevo quattro nomi diversi, cinque indirizzi e qualcuno sosteneva che fosse morta. Alla quarta settimana, quando ormai questo incontro pareva impossibile, e la mia speranza di trovarla cominciava a svanire, una ragazza mi disse di presentarmi la mattina presto alla distribuzione del pane e della farina organizzata dalla città per aiutare le famiglie bisognose.
Sevala era là. Faticai a riconoscerla: non indossava più l’abito tradizionale, e neanche il foulard, la pelle non era più così chiara, era invecchiata ma ancora bella, gli occhi chiari ancora luminosi. Mi si rivolse con la voce rotta dall’emozione, sul punto di scoppiare in lacrime:
“Grazie, grazie davvero. Sono Sevala. Lei è la prima persona dopo 15 anni che mi chiede come mi chiamo, che si interessa a me. Avrei potuto scomparire senza che nessuno se ne accorgesse. Ho venduto giornali durante e dopo la guerra per più di 15 anni . Sono la “pietra” di Bascarsija. Tutti in città compravano i giornali, ma nessuno s’interessava a me. Mi chiedevano solo il giornale, nessuno mi ha mai invitato a prendere un caffé. Tutti mi conoscono, ma nessuno sa chi sono”
Sono commosso dalle sue parole e mi lascio convincere a seguirla nel suo appartamento a Novo Sarajevo. Con un ascensore sgangherato saliamo al 16° piano di una torre fatiscente. “Benvenuto a Sarajevo” esclama aprendo la porta d’ingresso. Un appartamentino, anche questo in rovina, che mostra ancora evidenti le tracce della guerra. Niente soldi, niente acqua e elettricità! : “Entra che ti faccio vedere la mia Jugoslavia!”. Non riesco a capire. Apre una grossa scatola dalla quale tira fuori il suo passato: il diploma in lingua araba, le foto dei viaggi a Belgrado, le sue foto da studente, “il suo caro Tito”, la squadra di calòcio della ex Jugoslavia, ma soprattutto il suo vecchio, prezioso passaporto Jugoslavo.

Nejra e i suoi fiori

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Sarebbe stato impossibile ritrovare la bambina seduta su un’automobile distrutta con il suo mazzolino di fiori se il quotidiano Havas non avesse pubblicato la foto di Neira, e la madre non l’avesse riconosciuta. Così ho potuto andare a trovarla a casa sua, che aveva abbandonato durante l’assedio. La bambinetta è diventata un bella ragazza , ma ha conservato l’amore per i fiori.
Neira:
“ Abbiamo velocemente dimenticato una cosa essenziale: che siamo sopravvissuti, siamo vivi e in buona salute. Nonostante questo, qualcuno sente il bisogno di autocommiserarsi e inventarsi ogni sorta di difficoltà. Durante l’assedio si cercava solo di dimenticare la realtà quotidiana , la guerra, e ci occupavamo solo di far passare il tempo più velocemente possibile. Giocavamo insieme, senza preoccuparci del denaro perché eravamo tutti uguali

Minela alla ginnastica

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Minela, la bambina di quella stupefacente spaccata, oggi ha vent’anni; ha perduto quella elasticità ma l’espressione, che allora era un po’ malinconica, comunica oggi una gioia di vivere evidente , e il suo sorriso è diventato… esplosivo! Come per gli altri bambini, i genitori di Minela incoraggiavano la figlia a scegliere attività in spazi chiusi, considerati più sicuri. La ginnastica non aveva mai rappresentato il suo vero avvenire, era solo un passatempo; oggi lavora in uno studio odontoiatrico.
“Perché ho smesso con la ginnastica? Nel 1995 sono andata in Inghilterra per una gara. Non avevo grandi ambizioni ma mi piaceva mettermi alla prova e andò bene. Tre mesi dopo mi sono rotta un braccio e ho interrotto gli allenamenti…

Jasmine nel bunker, durante i bombardamenti

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Nella primavera del 1994 Jasmine aveva otto o nove anni e stava in un rifugio di Cengik Vila aspettando la fine dei bombardamenti. Oggi non c’è più nessuna traccia del rifugio nel quartiere ma la custode di una scuola l’ha riconosciuta. Ha sviluppato un carattere forte e ambizioso e parla correntemente l’inglese; ha lavorato per alcune organizzazioni internazionali e si è impegnata in programmi per l’assistenza ai bambini traumatizzati dalla guerra. Jasmine si è forgiata un caratterino pepato, è critica nei confronti dei giovani della sua generazione che, a sentir lei, mancano di iniziativa e cercano la vita comoda.
“A Sarajevo la maggior parte dei giovani è abituata a autocommiserarsi: niente lavoro dunque niente denaro, ma tutto quello che sanno fare è rimanere seduti ai tavoli dei bar aspettando passivamente che qualcosa cominci a cambiare.

Mesko e Elma

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Tante storie girano intorno a Elma, Minela e altre ragazze che, da bambine, seguivano i corsi di ginnastica di Mesko, il loro professore.
Mesko a Elma: “Ricordi quanto ti ho sgridato; oggi, 12 anni più tardi ti offro un mazzo di fiori .
Elma: “Accetto le tue scuse. Mi domando perché abbiamo smesso di vederci … “
Minela: “Con la ripresa delle lezioni avevamo avuto un sacco di lavoro da fare. Non aveva senso allenarsi, non eravamo motivate a sufficienza. D’altra parte avevamo passato dei bei momenti insieme, è stato utile. Mi sono ripromessa che mio figlio, un giorno, farà come Elma: il peso psicologico della guerra era forte. Cadevano le bombe e noi andavamo lo stesso ad allenarci. Allenamenti duri, tre ore e più… dopo bevevo almeno mezzo litro d’acqua. Nessuno ci accompagnava agli allenamenti. Pensa a Melissa: doveva tornare a casa da sola , sulla collina. Non c’erano gare allora. “
Mesko: “Ma certo che s’erano, una piccola squadra andò a Zenica , a Tuzla.

La famiglia dei gitani

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Sono cambiate tante cose anche nella famiglia gitana Demala. Dopo tre giorni di ricerche ininterrotte e qualche falsa pista che mi ha dirottato inutilmente ai quattro angoli della città, scoprii che questa famiglia era andata a abitare in un nuovo appartamento a a Otez, una periferia della città. Atida ha divorziato dal marito che è andato a vivere in un accampamento gitano in Italia. Ma Bekim , Ganimeda, Isaie e Sanson vivono ancora insieme. I più giovani vanno a scuola e gli altri cercano lavoro. Un lavoro difficile da trovare. A Bekim piacerebbe ripartire con me.
Atida, la madre: “Viviamo qui a Otez in questo appartamento nuovo che va bene, ma non è abbastanza grande perché abbiamo tanti bambini. Nonostante le apparenze la vita è diventata difficilissima . Non c’è lavoro, nulla da mangiare. C’è tanta povertà in Bosnia. Il mio ex marito, quel bell’uomo con il cappello nella vecchia foto, è partito per l’Italia, diretto al campo di gitani di Firenze. Mi ha lasciato con otto bambini. Mi sono risposata da sette anni ma il mio nuovo marito si è ammalato e anch’io devo curarmi con l’insulina. Quando prendo l’insulina, cado in terra se non mangio. Sono molto preoccupata. Ho fatto debiti e non so come ripagarli. Ricevo pochissimo denaro. Ma come puoi vedere siamo tutti qui, si sopravvive. Tutti, salvo mia madre che è morta qualche anno fa. Era vecchia. Non c’è neanche Valentina, che è andata in Germania in cerca di fortuna. Ci puoi aiutare ad avere un visto per l’Italia? Almeno per mio figlio?”

Ganimeta, la bambina timida

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La piccola Ganimeta, bambinetta dall’espressione timida, è cresciuta e oggi è una bella ragazza che veste come le compagne, va a scuola, e cerca di abbandonare il più possibile lo stile di vita della tradizione zigana.
“Sono io, sono io!”
Si riconosce in un ritratto in cui, timida e inquieta, scruta il vuoto con le mani sulla bocca.
“Qui avevo 9 anni, ora sto per compierne 21. Mamma, non esageriamo. Grazie a Dio siamo tutti vivi. Grazie a Dio nessuno di noi è stato ferito e non siamo rimasti menomati. La vita è difficile senza lavoro, ma in fondo siamo felici!”.

Le bambine di Bistrik

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Le quattro bambinette giocavano tranquillamente nell’erba, sulla collina, al riparo dai cecchini. Oggi sulle colline intorno alla città l’erba è ricresciuta abbondante e nessuno ci va più a giocare. Per fortuna incontrai un’anziana donna che riconobbe Amra e Leila nella foto. Sono tornate a Grbavica, nelle loro case. Le ho cercate all’Università e nei lori quartieri ormai ricostruiti. Sono riuscito a trovarle. Stupite, mi hanno aiutato a trovare le altre due bambine e grazie all’impegno di familiari e amici , ecco riunito il gruppetto. Ma c’è una cosa che ancora mi colpisce in questa storia: da quel periodo le bambine non si sono più frequentate e non si ricordavano neanche i nomi delle compagne di giochi.
Elvira: “Ho finito il corso di farmacia, ma sto per iscrivermi a Giurisprudenza. Domani è capodanno Io e Merima non vediamo l’ora di rivederci. Grazie alla foto e alle tue ricerche rieccoci insieme come 12 anni fa.”
Amra: “Com’è cambiata la nostra vita! Le nostre famiglie sono tornate presto alle loro case e c’eravamo davvero perse di vista. E’ davvero incredibile, una magia che tu ci abbia fatto ritrovare … Siamo così cambiate. Grazie ai nostri genitori, che ci hanno riferito i nomi delle nostre compagne di gioco, le abbiamo potute ritrovare: da sola non ci sarei mai riuscita. É un segno del destino… “
Merima: “Io studio alla facoltà di Studi Islamici. Perché il velo? Nessuno me lo ha imposto. Nella mia famiglia la religione non ha un posto così importante. Un giorno ho sentito che dovevo intraprendere questo cammino. Spero di aver fatto la scelta giusta. E tu Amra, se ho capito bene prosegui i tuoi studi di criminologia …

Gli uccelli prigionieri di Fikret

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Gli uccelli di Fikret Libovac scultore e professore all’Accademia di Belle Arti hanno ritrovato la libertà e i colori. Durante la guerra rimasti chiusi in gabbia come gli abitanti di Sarajevo assediati nella città – martire.
“La prima volta ci siamo incontrati 12 anni fa durante l’assedio. Provavi a scattare foto di artisti che rifiutavano di scappare dalla Bosnia – Erzegovina. Era la loro resistenza: la resistenza dello spirito, quella dei miei uccelli in gabbia . In quel periodo scolpivo uccelli in gabbia Io stesso ero un uccello e la mia gabbia era questa città. Ma ora c’è la pace: niente gabbia, siamo liberi, gli uccelli hanno ripreso i loro colori e fanno il nido. Sarajevo è un altro mondo.”

Adi il falso ciabattino

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Adi non era, in realtà , un calzolaio di Bascarja . L’ho scoperto 12 anni dopo, quando l’ho ritrovato in un negozio di tappeti, proprio di fronte alla bottega di calzolaio. Mi ha spiegato che all’epoca stava solo sorvegliando il negozio del suo amico ferito da un colpo di mortaio. Era così divertito da questo malinteso che ha accettato di recitare la sua parte fino alla fine nello stesso negozio, completamente rinnovato: ma il colmo è che mi ha mostrato lo stesso paio di stivali di cuoio, rimasti invenduti.
“In realtà il mio negozio è quello di fronte , vendo souverirs ai turisti. Prima della guerra c’erano molti turisti europei: dall’Italia, Germania, Spagna, ma ora la gente ha paura. Durante l’assedio la città era piena di soldati, che erano anche miei clienti. I militari argentini compravano parecchio, e pagavano sempre, anche gli italiani erano buoni clienti, i francesi un po’ meno. Ho venduto tanti tappeti molto vecchi, anche di 150 anni. Ora siamo in attesa. Il paese è interessante, e bello, i turisti torneranno di certo.”

Nel club di scacchi Bosna

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Durante la guerra Sanja, Mersa et Ivana frequentavano spesso il circolo scacchistico Bosna ; era un modo di tenere occupati i bambini allontanandoli dalle strade, sotto il tiro dei cecchini. Ma le tre ragazze sono cresciute e hanno smesso di giocare. Tuttavia Sanja, più motivata, ha continuato a giocare per sei anni ed ha anche partecipato a qualche torneo. Le ragazze sono cresciute, e anche gli scacchi.
Sanja: “Ciao Ivana, non ci si vedeva dai tempi del circolo degli scacchi. Sono più di dieci anni. Tu e Mersa venivate solo perché i vostri genitori volevano tenervi al riparo in un luogo coperto, era più sicuro che giocare in strada. Io invece ero davvero appassionata e ho continuato. Ho smesso con gli scacchi appena 5 anni fa dopo aver vinto qualche gara. Se ho capito bene stai per sposarti.”
Ivana: “Sì, e sono proprio felice. …

Ferita nel suo corpo non nel suo cuore

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Amra mi pareva molto più giovane di dodici anni fa quando era stata ferita sulla linea del fronte a Dobrinja e curata nell’ospedale allestito in un supermercato. Questo non ha impedito a qualcuno per strada di riconoscerla nella foto e di indicarmi dove abitava.
“Sono nata il 28 aprile 1962. Sono del Toro, e si vede , no? Lavoro all’ospedale di Kosevo. Come aiuto infermiera. Non sono sposata, cosa un po’ strana da queste parti , ma non per me. Sto con mia madre, ma ho un appartamento tutto per me. Mi considero una donna molto indipendente. Della vita mi interessa tutto e niente. Mi piace viaggiare, mi piacciono i bar, bere, divertirmi e fare festa con i miei amici, vivere la vita, ecco tutto. La vita era migliore prima della guerra. Oggi vivo bene, ma non come allora. Mi piace viaggiare e preferisco il mare, mi piacciono il lavoro e gli amici. Sono stata ferita durante la guerra. In questa foto di dodici anni fa ero ricoverata. Non era un vero ospedale, avevano allestito un ricovero con una sala operatoria nel vecchio supermercato, che oggi è un centro commerciale. Sono guarita e mi sento bene. Sono contenta di avere ancora le gambe e le braccia. Sto bene. In poche parole, sono felice. Si vede, no?

Sanela e i libri salvati

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Durante la guerra questa studentessa dava una mano a catalogare i libri salvati dall’incendio che aveva devastato la Biblioteca Nazionale. Oggi è un medico apprezzato e lavora per un’organizzazione delle Nazioni Unite. Siamo tornati insieme nella Biblioteca. Si è rattristata vedendo l’ingresso ancora distrutto e “i suoi libri” ancora da riporre ai loro posti negli scaffali Gli anni sono passati ma …
“Sono Senela Krehic. Sono una degli abitanti di Sarajevo rimasti in città dal 1992 al 1996. In questo periodo lavoravo per le biblioteche universitarie e nazionali. Ci conoscemmo tra il 1994 e il 1995. Nella foto sono seduta in mezzo alle pile di libri: era tutto quello che rimaneva della nostra biblioteca, della nostra cultura, i nostri libri fondamentali. Il nostro rifugio, dove i miei colleghi ed io tentavamo di catalogare e organizzare al meglio quello che non era scomparso divorato dalle fiamme. Guardando queste vecchie immagini mi rendo conto di quello che abbiamo fatto e di quello che ancora oggi rimane da fare. Guardati intorno: benché la nostra biblioteca abbia ricevuto molti aiuti per la ricostruzione, è ancora lontana dall’essere quella di prima. Vijecnica, è ancora in rovina. Passano gli anni ma ho la sensazione che ci siamo dimenticati quello che ci eravamo ripromessi: con la pace, Vijecnica tornerà magnifica come prima, il simbolo e il centro ideale della nostra cultura. Bisogna muoversi, ora o mai più.”

Il barbiere di Kovaci

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Nel negozio è cambiata solo la decorazione, e neanche tanto. Da Aziz, il barbiere di Kovaci sulla collina di Sarajevo i clienti fanno ancora la coda. Il vecchio Aziz mostra qualche ruga in più mentre il suo pronipote oggi ha 14 anni e vive a Dobrinja. Si ricorda bene degli anni passati con il nonno lontano da casa sua, sulla linea del fronte. Oggi pensa al futuro e dopo il liceo sogna di fare uno strano mestiere per un ragazzo della sua età …
“Mi chiamo Adli e presto avrò 14 anni. Ho passato tante giornate qui da mio nonno e oggi è lui che mi racconta tante storie di questo periodo. La casa di famiglia è a Dobrinja vicino all’aeroporto, perciò i miei genitori durante l’assedio hanno preferito lasciarmi in centro, che era molto più sicuro. Così ho trascorso quattro anni in mezzo a forbici e rasoi. Oggi sono tornato a vivere con la mia famiglia . Sono qui solo per incontrarti. Avevo voglia di ricordare! Mi ha preso la passione per il mestiere di barbiere. Dopo il liceo vorrei frequentare una scuola di acconciatura e aprile un salone… ma più alla moda … Forse, potrei rilevare la bottega del nonno. Il mio avvenire è qui, in Bosnia, a Sarajevo. Voglio sposarmi, avere tanti figli e … diventare barbiere.”

Il sogno d’Amra

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Mi aveva colpito la determinazione e il coraggio con i quali la ragazza suonava il pianoforte; incurante del coprifuoco, era ogni mattina alla scuola di musica, nella sala dei concerti deserta, Un colpo di mortaio aveva sventrato la parete. Superati lo choc e la paura, la passione l’aveva riportata alla tastiera, perché sognava di divenire concertista. Sono andato a cercarla in sala, il buco enorme era ancora lì, a testimonianza di quel periodo doloroso, e c’era anche il pianoforte. Ma lei no, non c’era , perché erano altre le priorità della sua vita di ragazza…
Amra: “Mi chiamo Amra Hrustic . Il matrimonio mi ha realizzata, e mi pare che si veda bene! Il piccolo nascerà fra un mese e per me tutto questo è felicità pura . Mi ricordo di quella foto alla Scuola di Musica, dodici anni fa. Qualche settimana prima un colpo di mortaio aveva sventrato la sala dei concerti. Dopo il primo momento di choc la mia passione per la musica riprese il sopravvento. Tornai a suonare il pianoforte, certo avevo paura ma ci andavo regolarmente per realizzare il mio sogno: fare della musica una professione diventando concertista. Perché ho lasciato la musica? In questo momento non ci si può vivere: in fin dei conti ti devi adattare a quello che offre il mercato del lavoro. Credo sia lo stesso anche i n altri paesi, ma qui in Bosnia dopo tanti anni di guerra la “vera” cultura non è prioritaria. Prevale un gusto medio privo di valore artistico, ma sicuramente commerciale. La musica e il canto rimangono comunque componenti importanti della mia vita : dedico sempre una parte della giornata a questa passione. Mi piacerebbe cantarti qualche canzone popolare, anche se il mio diaframma non può muoversi a causa del pancione! La mia situazione lavorativa, la mia vita in Bosnia? Malgrado la laurea in psicologia e un master purtroppo sono ancora disoccupata. Anche quando hai un buon livello di studi e una buona preparazione per il mondo del lavoro, se poi ti mancano le relazioni giuste per aspirare a un posto importante, è difficilissimo trovare un impiego. E’ soprattutto per la paura che hanno le persone più anziane di confrontarsi con un giovane diplomato: temono per la loro posizione sociale e le idee nuove potrebbero minacciare i loro privilegi. Alla fine è più facile trovare un impiego per persone con un livello d’istruzione medio. La situazione politica e economica del mio paese mi preoccupa. Basta guardarsi intorno e informarsi un po’. Nonostante tutto però sono contenta e piena di speranza perché aspetto un bambino. Sono felice “dentro”. “