La danse du destin

Sarajevo, 12 ans après

Sevala “la pietra„ di Bascarsija durante l’assedio

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All’inizio delle mie ricerche, tutti si soffermavano sulla foto di questa donna che durante la guerra, in abito tradizionale, ogni giorno vendeva giornali davanti alla Grande Moschea. Mi avevano assicurato che era facile incontrarla soprattutto la mattina nella zona pedonale. Ma dopo tre settimane di ricerche avevo quattro nomi diversi, cinque indirizzi e qualcuno sosteneva che fosse morta. Alla quarta settimana, quando ormai questo incontro pareva impossibile, e la mia speranza di trovarla cominciava a svanire, una ragazza mi disse di presentarmi la mattina presto alla distribuzione del pane e della farina organizzata dalla città per aiutare le famiglie bisognose.
Sevala era là. Faticai a riconoscerla: non indossava più l’abito tradizionale, e neanche il foulard, la pelle non era più così chiara, era invecchiata ma ancora bella, gli occhi chiari ancora luminosi. Mi si rivolse con la voce rotta dall’emozione, sul punto di scoppiare in lacrime:
“Grazie, grazie davvero. Sono Sevala. Lei è la prima persona dopo 15 anni che mi chiede come mi chiamo, che si interessa a me. Avrei potuto scomparire senza che nessuno se ne accorgesse. Ho venduto giornali durante e dopo la guerra per più di 15 anni . Sono la “pietra” di Bascarsija. Tutti in città compravano i giornali, ma nessuno s’interessava a me. Mi chiedevano solo il giornale, nessuno mi ha mai invitato a prendere un caffé. Tutti mi conoscono, ma nessuno sa chi sono”
Sono commosso dalle sue parole e mi lascio convincere a seguirla nel suo appartamento a Novo Sarajevo. Con un ascensore sgangherato saliamo al 16° piano di una torre fatiscente. “Benvenuto a Sarajevo” esclama aprendo la porta d’ingresso. Un appartamentino, anche questo in rovina, che mostra ancora evidenti le tracce della guerra. Niente soldi, niente acqua e elettricità! : “Entra che ti faccio vedere la mia Jugoslavia!”. Non riesco a capire. Apre una grossa scatola dalla quale tira fuori il suo passato: il diploma in lingua araba, le foto dei viaggi a Belgrado, le sue foto da studente, “il suo caro Tito”, la squadra di calòcio della ex Jugoslavia, ma soprattutto il suo vecchio, prezioso passaporto Jugoslavo.

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